Ripercorrendo brevemente gli avvenimenti storici più importanti si può facilmente comprendere come il territorio sul quale sorge il paese fosse una meta ambita per le popolazioni che cercavano di dominare l’isola. Non a caso, la posizione centrale e sopraelevata di Mogoro costituiva un punto strategico dal quale avere un controllo visivo su tutto il Campidano.
Già a partire dalle fasi più antiche della Preistoria (Paleolitico Superiore, 35.000 – 10.000 a. C.) le scoperte archeologiche fanno supporre la presenza dell’uomo nel territorio, ma fu solo durante le fasi del Neolitico Medio (Cultura di Bonuighinu e di S. Ciriaco, V millennio a.C.) e Recente (Cultura di Ozieri, IV millennio a.C.) che Mogoro iniziò ad essere intensamente abitato, come dimostrato dai diffusi ritrovamenti di ossidiana, proveniente dal Monte Arci, e altri raffinati reperti in ceramica rinvenuti nelle località di Puisteris, Serra Neula, Roja Laccus, Serra sa Furca, Perdixedda e Nuracis.
A non molta distanza dal nuraghe Su Gunventu, gli scavi hanno portato alla luce testimonianze della Cultura di Monte Claro nell’Eneolitico Evoluto (2700 – 2200 a.C.) presente in modo sistematico in tutta l’isola: le ceramiche ritrovate e le differenti peculiarità decorative fanno supporre una lunga permanenza di questa Cultura nel tempo.
Nel territorio di Mogoro l’Età Nuragica è rappresentata da almeno 27 nuraghi, dalla struttura semplice o complessa, da agglomerati capannicoli, dalla tomba dei giganti del nuraghe Nieddu e da due pozzi sacri.
Tra il IX e il III secolo a.C. l’isola venne occupata prima dai Fenici poi dai Cartaginesi e, a partire dal 238 a.C., dopo le guerre sostenute contro i sardo-punici, furono i dominatori romani ad impossessarsi dei campidani, delle aree fertili adatte alla coltivazione dei cereali. Non tutti i sardi di queste zone si sottomisero o vennero fatti prigionieri, molti di loro si ritirarono all’interno in luoghi più facilmente difendibili. Per tenere sotto controllo popolazioni e territori, Roma spedì in Sardegna prigionieri di guerra con la promessa di renderli liberi in cambio della loro collaborazione alla sicurezza e alla stabilità del governo territoriale. Inoltre, quattromila ebrei, soldati romani e mercenari furono inviati nell’isola al fine di gestire le terre e garantire la produzione cerealicola necessaria a sostentare le popolazioni del resto dell’Impero. Queste popolazioni si stanziarono in piccoli insediamenti, lasciando numerose tracce del loro passaggio su tutta l’area campestre mogorese (tombe e cocci di vasellame vario, ma anche steli funerarie purtroppo oggi disperse).
Attorno all’anno 1000 d.C., la Sardegna risultava divisa in quattro regni o giudicati, retti da altrettanti re o giudici, rappresentanti locali dell’imperatore bizantino che, di lì a poco si sarebbero resi autonomi. Ne derivò una partizione del territorio nei quattro regni di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura, a loro volta divisi in curatorie; Mogoro fece parte della curatoria di Parte Montis, di cui fu anche capoluogo.
La fine di queste realtà statuali autonome venne influenzata dall’arrivo delle Repubbliche Marinare di Pisa e Genova, protagoniste di aspre contese che si protrassero sino al XIV secolo, periodo in cui l’Isola subì l’avvento di una terza potenza: la Corona d’Aragona. Secondo quanto deciso negli accordi di Anagni del 1295, la Sardegna venne ceduta da Bonifacio VIII a Giacomo II d’Aragona, provocandone l’infeudazione.
All’indomani della pace tra Aragona e Giudicato d’Arborea, nel 1355, Mogoro inviò i propri rappresentanti al primo parlamento (le Cortes), convocato a Cagliari da Pietro IV d’Aragona.
In poco meno di un secolo il paese fu proprietà prima della famiglia Tola (tra il 1421 e il 1436), poi della famiglia Manca, successivamente appartenne ai Sanjust (prima metà del 1500) per passare, infine, ai conti di Quirra nel 1603. Dopo la caduta del Marchesato di Oristano, Mogoro seguì le sorti della contea e del marchesato di Quirra sotto i Carroz fino ai Centelles e agli Osorio della Cueva. Agli inizi del XVI secolo il paese accolse i profughi di Bonorcili, che fu raso al suolo da un assalto piratesco dei Saraceni tra il 1510 e il 1527.
La storia di Mogoro nel 1800 non fu caratterizzata da avvenimenti rilevanti, mentre, durante il Novecento, il paese fu coinvolto nelle due guerre mondiali il cui epilogo fu disastroso (70 caduti e 21 mutilati nella Prima, 16 caduti nella Seconda) e il dopoguerra non fu da meno: all’indomani della Grande Guerra la disoccupazione e l’ipotesi di emigrazione furono causa di diverse proteste e disagi che l’amministrazione comunale cercò di contenere riprendendo la costruzione del mattatoio e del nuovo cimitero. Il malcontento spinse ex combattenti e non solo ad ingrossare le fila del neonato partito fascista, fondato nel 1923. Contrariamente alle aspettative, l’anno successivo, in vista delle elezioni politiche, i fascisti ottennero un grave smacco, ottenendo appena 143 voti contro i 237 degli avversari sardisti. Anche a Mogoro, Masullas e Siris, nel 1926, arrivò il capo dell’amministrazione comunale, il podestà don Ferdinando Dedoni seguito nel 1929 dal torinese Oreste Rosaspina, ricordato soprattutto per aver portato a Mogoro la luce elettrica e il servizio di nettezza urbana, ma anche per la rivolta ai suoi danni avvenuta in occasione della festa di Sant’Antioco del 1930. La mancata autorizzazione alla processione in onore del Santo esasperò i malumori della popolazione, tramutandoli in una vera e propria ribellione contro la Forza Pubblica che non esitò a sparare sulla folla provocando numerosi feriti e la morte del giovane Giovanni Maccioni. Durante il periodo fascista iniziarono i lavori di costruzione della diga, del ponte sul Rio Mogoro e del caseggiato scolastico in piazza Sant’Antioco, famoso perché, durante i bombardamenti a Cagliari, il Liceo Ginnasio “Dettori” venne temporaneamente trasferito in questa sede, che poi avrebbe prestato asilo anche al comando del Settimo. Il paese diede ospitalità a oltre 1.000 sfollati provenienti da Cagliari e a circa 3.000 tedeschi appartenenti alla novantesima corazzata.